LEGGI BENE TUTTO PER CAPIRE DI CHE SI TRATTA.
Lezione serale #39 Coæ “Perchè t’impari un pò di parole cosi quando vieni a trovarci sai come
interpretare..” coae
Questa è l’ultima lezione serale! Siamo quasi arrivati ad agosto ed è giusto terminare…
No, tranquilli non finiranno qua (…con vostra immensa gioia immagino!), ma come ogni buon corso che si rispetti, anche il nostro si prende una pausa per poi ricominciare col “nuovo anno”! Quindi liberi tutti! Non prima di scoprire l’ultima parola di questo primo giro di boa de Il Mugugno Genovese, che tra 5 giorni compirà un anno!
Chi di noi V.E.L. non ha mai sentito almeno una volta nella vita: “non c’ho coæ?”, la scrittura vi manda in difficoltà? “Non c’ho què!” ti suona più familiare? Diciamo che, espresso così, è  un genovesismo di un moddo de dì, molto diffuso ancora adesso. Cosa significa? Come sempre ci avvaliamo del dizionario Frisoni che riporta: Coæ, s.f. voglia desiderio || ___ matta, voglia fervida, fregola, brama || fâ perde a ___“, svogliare togliere la fregola || levâse ûnn-a ___, cavarsi una voglia, soddisfare un proprio desiderio || levâsene a ___,mangiar tanto di qc. da stuccarsene || mette ___ de qc., far venir voglia, suscitare il desiderio di qc. || vegnî ___, venir voglia, bramare, desiderare.
Figgeu, sta volta il dizionario mi ha tolto le parole di bocca. Belin, solitamente omette qualcosa, come volesse lasciarmi un’esclusiva, oppure più semplicemente, nascondere la totale comprensione della parola ai Foresti…  Per non lasciarvi ” a secco ” vi completerò questa super-definizione del Frisoni, con un “moddo de dì” molto in uso ancora oggi, perchè… “no g’ho coæ” di lasciar tutti i meriti al dizionario!Si sa, il V.E.L. è mugugnoso dentro e se può evitare di fare qualcosa perche “troppo faticoso” o perchè comporta “troppo sbatti”, di certo non si fa pregare. Così vien fuori uno dei moddi de dì tra i più usati ancora ai giorni nostri che incarna pienamente lo spirito “stanco” del genovese. Potrete udirlo in due modi differenti: italianizzato (non c’ho coæ) e la versione genovese (no g’ho coæ). Non vi è differenza, nemmeno letteralmente. La prima è la traduzione letterale della seconda. Quindi: a chi conserva un pò più di genovese nel suo io interiore, verrà spontaneo usare la versione zeneise, mentre chi è stato “contagiato” ormai del tutto, userà l’italianizzata. No g’ho coæ, lo possiamo usare con voce stanca o alterata, guardando fisso negli occhi l’interlocutore o alzando gli occhi al cielo e piegando un pò lateralmente la testa, con fare sconsolato. L’unica cosa certa è che nel 95% dei casi questo moddo de dì non sarà mai usato in modo ironico, simpatico. È una via di fuga piuttosto efficace, poiché un semplice “non ne ho voglia” porta la controparte ad insistere, mentre un “no g’ho coæ” ben detto, nel momento giusto e con la giusta stanchezza, stronca animi e intenti dei più vogliosi
Pronuncia: “Què”. Abbastanza differente, rispetto a com’è scritto. Alcuni di voi Foresti (specialmente Bausciosi) non dovrebbero incontrare particolari difficoltà nella pronuncia, siccome della “e” larga ne fate largo uso. In questo caso, abusatene perchè un “nu g’ho que” con la “e” finale stretta, non si può sentire!
Curiosità: Da dove arriva questa parola? Il piccolo dizionario etimologico Ligure, del prof. Toso, ci viene incontro.

“In genovese antico era ampiamente usata la forma covea (sec. XIII, gran covea l’ò de ver, Aonimo Genovese) che ricorre ancora,[…], nel sec. XVII, quando comincia ad apparire covè. “.

Qui è facile intuire come, il passo da covè a coæ, sia abbastanza rapido. Si sostiene comunque che coæ sia un derivato latino da Cupiditas.
Bon, figgeu, chîe g’ho finio! Io vi saluto e vi ringrazio di questo primo anno tutti insieme! Ad Agosto non vi lascerò senza belinate, qualcosa ho già pronto da pubblicare, ma poca roba. Una meritata vacanza me la prendo pure io, dopo 365 giorni a suon di post continui di vostre foto intervallate da articoli e altro…
Sperando vi sia piaciuta quest’idea del M.G,

Se vedemmo a setenbre zueni!